Challenging body
26.02.2022 - 26.03.2022A cura di Lóránd Hegyi
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Anche se le sculture e gli ambienti scultorei, a volte scioccanti ed irritanti, di Bernardí Roig mettono lo spettatore a confronto con situazioni di pesanti conflitti, di pressione insopportabile, di incapacità di difendersi, di angoscia e vulnerabilità, suggeriscono tuttavia anche un eroismo nascosto basato sul riconoscimento della resistenza e dell’intransigenza umana. L’opera di Bernardí Roig manifesta l’inevitabile potere che hanno le forze nascoste, sconosciute, misteriose, spesso negative, distruttive e spaventose e, allo stesso tempo, rivela orizzonti di una empatica comprensione delle possibilità di trovare le origini di una nuova autocoscienza e resistenza.
La radicale rivisitazione e reinterpretazione della tradizione scultorea europea nella rappresentazione del corpo umano e animale, nonché l’ampliamento offensivo delle competenze connotative di modellare le formazioni corporee, è stato per lungo tempo uno dei temi centrali dell’opera di Paolo Grassino. Attraverso la contestualizzazione del corpo umano o animale – o di frammenti di corpo – ha aperto la forma scultorea verso configurazioni teatrali ampie, spesso monumentali e drammatiche, che producono spazi tematici inquietanti, irrazionali, inconsci e incontrollabili di instabilità, incertezza, lotta per l’autodeterminazione e la sovranità. Questo aspetto eroico del combattimento e del conflitto, presta una certa connotazione romantica al suo lavoro mentre l’enigmatica incertezza, l’oscurità pittoresca e la favolosa ricchezza di avventure, incarnate nei suoi assemblaggi scultorei, rafforzano la sensazione di condivisione di un’esperienza, senza precedenti, di partecipazione ad un universo sconosciuto dominato da forze invisibili, incalcolabili, imprevedibili.
Mentre da un lato Paolo Grassino salvaguarda i metodi di rappresentazione quasi classica del corpo umano e conserva alcuni elementi basilari della grande tradizione mimetica dell’arte occidentale, dall’altra distrugge ogni convenzione compositiva classica e opera in modo eversivo attraverso la delegittimazione irreversibile di ogni classica coerenza spazio-temporale. Questa disorganizzazione quasi isterica e turbolenta, violenta e sovversiva destrutturazione di qualsiasi drammaturgia scultorea convenzionale, riempie la sua opera dell’inquietudine contemporanea per eccellenza, che evoca un sentimentalismo recentemente valorizzato e una partecipazione emotiva all’universo poetico virtuale incarnato nella sua opera. Questo immaginario teatrale, pesante, drammatico, irritante di conflitti e sacrifici, di paure e speranze, di lotte e dubbi, testimonia l’oscura complessità e l’impegnativa incertezza della nostra vita.
Anche l’approccio di Gloria Friedmann al corpo umano e animale, alle formazioni corporee organiche che imitano o evocano il corpo, rivela un modo differente di contestualizzazione – culturale, mitologica ed etnografica – del corpo, in cui la competenza simbologica dell’arte gioca un ruolo determinante. I suoi corpi sono modellati da un complesso processo di fusione di forme organiche, naturali, vivide con forme di diversa origine, sia organiche che inorganiche, ovvero fondendo corpi umani, o frammenti di corpi umani, con forme-simbolo rituali, culturali, magiche che traggono origine dal modello del corpo umano o animale. Dimostra una sorprendente strategia parallela, o meglio un doppio processo, di reciprocità. Da un lato, elabora a partire dall’oggetto rituale, magico, cultuale, dalla forma-simbolo, dal totem, dall’icona – il cui modello originario era un tempo il corpo reale, vivo, che si è sublimato fino a diventare un puro simbolo – e successivamente torna verso la vita, torna alla natura; rivitalizza la forma-simbolo, riempie di vita il totem, resuscita l’icona, così la forma-simbolo si trasforma in corpo vivente. Dall’altro lato, parallelamente alla trasformazione, l’artista elabora – partendo dal corpo reale, sensuale, vivo, concreto – la forma/simbolo impalpabile, la rende astratta, la deindividualizza e ne crea un totem. Nel processo di rivitalizzazione delle forme-simbolo rituali, magiche, non individuali, le separa dalla loro prassi rituale convenzionale – collettiva – in cui esse hanno svolto un ruolo ben determinato e le libera dal contesto della prassi magica, donando loro una nuova vita organica, una forma vivida, individuale, unica, un ruolo autonomo, che attira reazioni empatiche e provoca risposte emotive da parte dello spettatore.
Il momento profondamente sorprendente, e in qualche modo irritante, di queste strategie parallele è molto probabilmente il modo in cui Gloria Friedmann crea nuovi esseri autentici, vividi, organici e autonomi, fondendo i corpi creati da questi due processi di trasformazione reciproca. Mentre questi nuovi corpi ibridi indossano tutto il decoro dei loro potenziali ruoli culturali, rappresentando ancora un certo significato allegorico o magico e suggerendo funzioni rituali, allo stesso tempo appaiono come corpi viventi, sensuali, come esseri autonomi e organici, come parte della natura grande, illimitata e potente. Sono estremamente sensuali, suggeriscono vita e sentimenti, irradiano libertà, diffondono sovranità e dignità. In questo senso, non appartengono né al mondo astratto e impalpabile di simboli, totem o icone, né alla realtà materiale organica, vegetativa, inconscia, sensuale, elementare ma ad un altro luogo: ad un universo sconosciuto, immaginario, visionario, nutrito dalle energie spirituali e dall’immaginario illimitato.
Pur lavorando apparentemente all’interno della grande tradizione occidentale della rappresentazione mimetica del corpo, tutti e tre gli artisti in mostra mettono in discussione questa eredità attraverso il loro irritante e intrigante plasmare di nuove specie di esseri che prendono il loro posto con vitalità ed evidenza all’interno della nostra vita.
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