Il tempo nell'immagine
27.05.2022 - 30.06.2022Studio Azzurro
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L’anima di Studio Azzurro è unica seppur contenuta in corpi differenti. È un’anima formata da molte persone che negli anni, per brevi o lunghi periodi, hanno contribuito con i propri pensieri e le proprie sensibilità a costruire un’atmosfera creativa unitaria, mantenendo una rotta e una coerenza di significati in un’attività molto articolata. Nel 1982 Fabio Cirifino, Paolo Rosa (1949-2013) e Leonardo Sangiorgi danno vita a un’esperienza che nel corso degli anni esplora le possibilità poetiche ed espressive dei nuovi linguaggi tecnologici. A loro si aggiunge, dal 1995 al 2011, Stefano Roveda, esperto di sistemi interattivi. Attraverso la realizzazione di videoambienti, ambienti sensibili, percorsi museali, performance teatrali e film, disegnano un percorso artistico trasversale alle tradizionali discipline e formano un gruppo di lavoro aperto a differenti contributi e importanti collaborazioni. È così che Studio Azzurro prende la forma di un laboratorio di ricerca artistica spesso paragonato a una bottega rinascimentale.
La camera astratta è uno spazio mentale, una rappresentazione di pensieri che si incarnano in azioni e parole. La coscienza della mente di un protagonista invisibile è rappresentata da sassi che vengono gettati per alleggerirsi o messi in bocca per forzarsi a tacere, o ancora radicano i piedi al terreno come vincoli. Lo spettacolo è il flusso di coscienza di un soggetto che, in un istante di sospensione, si lascia sommergere da sensazioni, ossessioni, ricordi e immagini.
In questa camera senza tempo, gli attori mettono in scena l’immagine mentale di rapporti vissuti o immaginati, che si esasperano fino all’eccesso. Gli attori si muovono su un palcoscenico popolato da costruzioni in legno e monitor: le immagini video creano continuamente uno spazio che va oltre i limiti della scena. Qui tutto si amplifica, dimensioni e personaggi si moltiplicano. La musica dà il ritmo, segna il tempo e il respiro di quell’unico corpo universale e indeterminato che è protagonista e soggetto dello spettacolo.
Ne Il nuotatore (va troppo spesso ad Heidelberg) apparentemente tutto è quiete. Un’atmosfera azzurrata e una musica avvolgente accolgono lo spettatore. I monitor, accostati l’uno all’altro, sono attraversati dalle bracciate di un nuotatore che si sposta di schermo in schermo. Dodici videocamere fissate sul bordo di una piscina, a pelo d’acqua, hanno reso possibili le riprese.
Con gesti ripetuti e affaticati, il nuotatore attraversa i televisori, instancabilmente. Una miriade di microeventi (una palla che cade, un’ancora che affonda…) si inseriscono nella scena principale, rimanendo relegati nei singoli schermi. È proprio in questa alternanza di eventi che si verifica la prima partecipazione diretta dello spettatore all’interno dell’installazione, elemento che caratterizzerà tutto il lavoro successivo di Studio Azzurro. Lo spettatore non assiste a una narrazione, ma è partecipe dell’evento che si svolge in quell’istante e che non sarà mai uguale a se stesso.
In Traiettorie celesti parte di un cielo elettronico, sospeso sopra le teste dei visitatori, è precipitata al suolo, intrappolando nel riflesso del pavimento lucido l’immagine di una colomba. In alto, sui monitor, lo sguardo capovolto di un satellite Meteosat percorre e indaga la superficie della terra.
La narrazione di Traiettorie Celesti prende spunto dal titolo della rassegna che l’ha ospitata: “L’amour de Berlin”. L’assonanza con “le mur de Berlin” suggerisce una riflessione sul Muro come confine che delimita le aree del mondo. Oggi gli sguardi dei satelliti, l’istantaneità delle comunicazioni, la penetrabilità delle frequenze sembrerebbero scavalcare ogni frontiera. Ma forse esistono nuove barriere, muri invisibili che accrescono divisioni e proteggono privilegi. Anche la colomba, scelta come simbolo per la sua libertà di stabilire traiettorie che superano muri e frontiere, rimane intrappolata in queste reti.
Pareti, figure strappate è un’installazione costruita da luci mobili e video che si spostano in modo sincrono tra loro. Nell’atelier veneziano di Mariano Fortuny, completamente affrescato, queste lame di luce cercano di rivitalizzare figure e scenari dipinti, come un illusionistico trompe-l’oeil.
Nella forte relazione con lo spazio decorato, nel rapporto con l’esterno nella città e con la materia stessa della pittura, prende forma un progetto sviluppato e condiviso con molte persone durante un workshop a Venezia.
Vedute (quel tale non sta mai fermo) è un videoracconto si anima su dodici schermi televisivi collocati a semicerchio in un salone di Palazzo Fortuny. I televisori sono collegati ad altrettante telecamere disseminate in vari angoli di Venezia. Alle immagini in bianco e nero dei monitor si sovrappongono quelle a colori di una storia interpretata da attori.
La videoambientazione si struttura come luogo dell’accadimento, come evento più che come opera. Irrompendo nella scena video, gli attori dialogano con telecamere e pubblico. Lo spettatore è chiamato a mettere in gioco il suo patrimonio immaginativo nel tentativo di rompere i limiti spaziali: esterno/interno, reale/virtuale, fisico/mentale.